Il coraggio delle donne del Cilento: storie di vita quotidiana
Nel giorno in cui si celebra la donna, avevo pensato di raccontare la storia di una figura femminile simbolo di questa terra. Volevo trovare, in un solo volto, l’identikit della donna del Cilento, un’immagine a cui ispirarsi per fare tesoro della sua esperienza.
Come spesso capita, però, i miei piani sono saltati: più cercavo di trovare quell’unica storia che potesse racchiudere tutto e più mi allontanavo dal mio intento. Non so se capiti anche a voi di avere un’idea fissa in mente, di pensare che sia proprio quella la strada che si deve percorrere, e poi, improvvisamente, cambiare rotta. A me capita spesso e, anche se non so ancora se sia un bene o un male, in questo caso mi ha portato a vedere un altro aspetto della questione. Per raccontare la vita delle donne del Cilento, non avevo bisogno di una sola storia, di un volto simbolo o di un’eroina che si era immolata; la narrazione era intorno a me, nelle parole e nei ricordi di chi aveva visto gli occhi delle donne del Cilento.
L’identikit che cercavo è nato da una conversazione con un’anziana signora, nata nel 1931, che si lamentava per i dolori alle ossa. Pare che il suo malessere fosse dovuto alla vita svolta in tenera età. Le bambine nate negli anni ’30 nel Cilento erano, per lo più, destinate all’agricoltura. Trascorrevano intere giornate nei campi, anche con il freddo intenso. Non avevano indumenti adeguati e, a piedi scalzi e con le gambe scoperte, lavoravano per ore a contatto con il terreno ghiacciato. Le estremità divenivano di un rosso intenso fino a perderne la sensibilità. L’infanzia delle bambine poco agiate del Cilento era contraddistinta da due fattori: il lavoro nei campi e la poca istruzione. La signora, nata nella frazione Lago del Comune di Castellabate, si riteneva fortunata di aver potuto frequentare fino alla terza elementare. Per il diploma di quinta, bisognava recarsi nella vicina frazione di Santa Maria, sprovvista, però, di collegamenti. Era impensabile mandare una figlia a scuola, a piedi, ogni mattina. L’unica soluzione rimanevano i campi e quel freddo che arrivava fino alle ossa, le sue povere ossa.
Capitava, poi, che il Principe Belmonte, proprietario delle terre, desse una grande festa per il suo matrimonio e invitasse tutti i suoi coloni. Le bimbe, cresciute nei campi, assaporavano, per qualche ora, il lusso del principe, con indosso, però, i vestiti del lavoro. La signora anziana ancora ricorda il buco della sua veste, che la costringeva a camminare con una mano sul di dietro per coprire il misfatto. La dignità, insita nelle donne del Cilento, la spingeva a non staccare la mano dalla veste, nemmeno per prendere i confetti che venivano regalati ai bimbi, tanto da spingere la servitù del principe a dirle di lasciar perdere la veste e prendere i confetti. Storie di altri tempi, così lontani dalle nostre vite.
Eppure, nei racconti di questa donna del 1931, rientrano anche episodi di guerra che credevamo sepolti. Durante la Seconda Guerra Mondiale, all’indomani dello sbarco degli Alleati, il mare di Tresino si coprì di navi americane. Tra le ragazze, cresciute nei campi, vi era una fanciulla dedita al pascolo e alla mungitura delle capre. Ogni sera, insieme a suo padre, da ognuna di loro ricavava il latte. Ogni sera uno dei soldati americani, sbarcati a Tresino, saliva per vedere quello straordinario spettacolo della natura. E così, tra una mungitura e l’altra, i due giovani si innamorarono. Lui iniziò a portarla al cinema e a teatro a Salerno e tutti, in paese, iniziarono a spettegolare sulla giovane. Poi lui partì e lei rimase sola con le sue capre e le maldicenze finché il soldato non tornò a prenderla per portarla in America, dove hanno trascorso il resto della vita insieme. Chissà cosa avrà pensato la donna prima che l’uomo tornasse a prenderla, avrà mai dubitato del suo amore? E come avrà affrontato le maldicenze dell’epoca? Dove avrà trovato il coraggio di non farsi sopraffare? E dove avranno trovato il coraggio tutte quelle bimbe costrette a lavorare nei campi al freddo e al gelo?
Nelle proprie ossa, quelle che, oggi, ricordano all’anziana signora che una donna, per vivere, ha sempre un dolore da sopportare.
Non ci saranno premi e riconoscimenti per queste ossa e queste donne, eppure soltanto loro rimarranno il vero simbolo di un territorio che fa della lenta quotidianità il suo punto di forza.
Barbara Maurano.