Giovani e suicidio: cosa scatta nella mente?
Il suicidio rappresenta uno dei problemi sociali più gravi e drammatici della società contemporanea: oggetto di studio e di analisi della “sociologia della devianza”, il gesto estremo di “togliersi la vita” può essere scatenato dall’interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali ed ambientali.
Sicuramente, anche i contesti socioculturali ed ambientali, dove si nasce, si cresce e si vive giocano un ruolo decisivo sulla psiche e sul modus vivendi del soggetto.
Il sociologo e filosofo francese Èmile Durkheim è stato uno dei primi studiosi ad occuparsi del fenomeno del suicidio: il pensatore francese teorizzò il concetto di “anomia”, secondo cui, l’assenza di regole sociali e la perdita nell’individuo di legami, nel tessuto connettivo della società, poteva spingere il soggetto al suicidio. Secondo Durkheim, alla base del suicidio non ci sono solo fattori di carattere biologico, ma giocano soprattutto aspetti di tipo sociale.
In Italia, i suicidi che interessano le fasce giovanili si collocano al secondo posto, in rapporto alle cause di mortalità che colpiscono il range d’età che va dai 15 ai 24 anni. Durante il periodo di pandemia di Covid-19, i tassi di mortalità causati da atti di suicidio, nei giovani, sono sensibilmente aumentati.
Ma quali possono essere le ragioni o i fattori scatenanti che portano gli individui a togliersi la vita?
Esistono alcuni fattori di rischio, tra cui l’autolesionismo o l’insoddisfazione per un’esistenza non appagata, od anche traumi scatenanti, che portano le persone in una strada di non ritorno, un tunnel buio, dove tutto sembra oscuro e irrisolvibile.
È necessario, perciò, individuare immediatamente questi segnali d’allarme nel soggetto a rischio, da parte di medici, familiari ed amici, per evitare che la situazione poi sfugga di mano. Molte volte, i gesti suicidiari sono figli di atti di violenza, bullismo o di sopraffazione, in famiglia, a scuola, o nel “gruppo dei pari”: in tali contesti spesso impera la “legge del più forte” e le persone più sensibili o indifese compiono questo gesto estremo, come atto di ribellione, verso una società che non le ha comprese.
Il web, a volte, è anche un contenitore di molti pericoli. È questo il caso del “Blue Whale Challenge” (“Balena blu”): un “gioco” online che ha portato al suicidio molti ragazzi tra i 9 e i 17 anni. Questo pseudo-gioco consiste nel compiere dei gesti autolesionisti, fino ad arrivare al suicidio, per cui è bene monitorare, osservare e vigilare i propri figli sulle varie piattaforme che utilizzano in rete.
In queste forme di cyberbullismo si finisce per fare il “lavaggio del cervello” alle vittime, portando, le persone più fragili e manipolabili al suicidio.
Nei casi di suicidio accade spesso che l’incapacità di gestire lo stress emotivo e la disregolazione nella gestione delle emozioni possono condurre il soggetto a volerla “fare finita”.
Simona Di Lucia
Non ho titolo per esprimere un commento in merito e non ho figli . L’articolo evidenzia i fattori e le possobile motivazioni che possono spingere un giovane all”irrimediabile gesto estremo senza considerare neanche l’atroce dolore che esso arreca ai genitori .
Posso riportare però la domanda insistente e ripetitiva di um mio carissimo collega ed amico nel momento in cui fu colpito dalla disgrazia del suicifio della figlia che si impicco’
nella villa di proprietà Venti anni di bell’aspetto, con quel gesto atroce spense per sempre, oltre ai suoi , anche gli occhi dei suoi genitori. Il papà affranto ed incredulo ripeteva: “dove ho sbagliato? Dove ho sbagliato?
L’interrogativo a distanza di anni non ha trovato risposta.
Ciao e buona festa della Repubblica a tutti.
Era iscritta alla facoltà di medicina diceva di voler fare il medico dei poveri..Da lassù con le sue preghiere sicuramente curerà molte anime.