Lettera di Leucosia a Odisseo
Caro Odisseo,
è passato molto tempo da quella volta in cui i miei occhi si posarono sul tuo volto stanco e affaticato dal lungo viaggio e sulle tue possenti braccia; queste, invano, cercavano di liberarsi dal dominio di una lunga corda, che le teneva legate, ben salde, all’albero maestro della tua imbarcazione.
Eri così diverso da tutti gli uomini che avevo visto e che erano passati per l’isola delle sirene; eri così diverso anche dai tuoi compagni. Il tuo sguardo, seppure sofferente, era pieno di una luce abbagliante, sconvolgente.
Mentre Partenope e Ligea continuavano a cantare, rimasi immobile per un po’ a osservare il vento che, lieve, ti accarezzava i capelli. Poi ricominciai.
Gli uomini che erano con te sembravano incapaci di ascoltare la nostra canzone; tu, invece, no. Tu potevi sentire; potevi sentire ogni singola nota. Ricordi? Io ti dissi: “Nuota da me, nuota da me! Sono qui. Ti aspetto!”.
Avrei voluto sussurrarti all’orecchio tutto quello che so: chi sei, da dove vieni e dove vai. Avrei voluto spiegarti perché le stelle abitano il cielo e perché le onde cavalcano il mare. Avrei voluto donarti il mio amore, anche se sapevo di Circe, di Calipso, di Nausicaa, di Penelope. Avrei voluto… ma tu non nuotasti verso me.
Mi hanno detto che sei tornato a casa, che il tuo nostos è finalmente terminato e che vivi felice assieme a tua moglie e a tuo figlio Telemaco. So che hai in mente da molto di intraprendere una nuova avventura, il tuo ultimo viaggio; qualcuno lo definisce “il folle volo”. E, credimi, non è un’arbitraria definizione, se è vero che hai intenzione di attraversare le Colonne d’Ercole! Non farlo, mio caro, non farlo! Preferisco saperti in compagnia di un’altra donna, ma vivo, piuttosto che…
Sai, tante volte mi sono chiesta se di me ti resti almeno il ricordo di quel mio canto. Quando vidi la tua barca sparire dietro lo scoglio e prendere il largo, sperai che la marea la riportasse indietro o che giungesse all’improvviso una tempesta così forte da liberarti dai tuoi vincoli e da farti arrivare fino a me. Ma questo non accadde.
Pensai, allora, che la mia vita, senza te, non avrebbe avuto più senso. Mi gettai nella spuma bianca del mare e mi lasciai trasportare, esanime, dalle correnti del Tirreno. Arrivai qui, sulle sponde di questo promontorio del Cilento, dal quale ti scrivo, Licosa, che proprio da me ha preso il nome.
Mio caro Odisseo, hai capito, adesso, chi sono? Sono proprio io, Leucosia, la sirena bianca. Lo senti ancora il mio canto? Se non è troppo tardi, puoi nuotare verso me. “Sono qui. Ti aspetto!”.
Mariasole Nigro
Si riafferma il valore dell’ amore. Idealizzato il personaggio amato per quello che è un”uomo”,la sirena vede lontano, noi donne non sempre ci riusciamo.