La pietra di roccia. Storia di archeologia e di partecipazione
Lo scavo sistematico, subito iniziato dal Soprintendente di allora, Werner Johannowsky, restituì 200 tombe, distribuite in un arco cronologico tra il VII e il IV sec. a.C., e resti di edifici dall’età arcaica al IV sec. a.C. tra cui la struttura di una sala da banchetto con un pavimento in mosaico, coccipesto e lavapesta che resta un eccezionale monumento dell’antichità che Buccino ci ha restituito; ma questa prima campagna di scavo si interruppe, per mancanza di fondi, nel 1983.
L’attività di tutela nel centro storico di Buccino riprese nel 1987. Già dai primi mesi fu chiaro che l’inevitabile riemergere delle strutture antiche dal sottosuolo per effetto della ricostruzione non poteva e non doveva diventare motivo di rottura e di interruzione della vita di una città, quella moderna a favore dell’altra, l’antica, e che la possibile crisi doveva essere risolta in modo da determinare una crescita e non una sostituzione dei valori storici urbani.
Fu, infatti, questa la domanda che ci ponemmo con il Soprintendente, Giuliana Tocco, di fronte al primo saggio, che riportò in luce le strutture che una quindicina d’anni dopo si sono rivelate essere le terme del foro, se l’intervento della Soprintendenza dovesse o no ripetere l’esperienza, allora molto discussa, di Conza della Campania, dove si era deciso per la separazione, irreversibile, della città storica da quella ricostruita in altra sede, una di quelle che poi abbiamo imparato a chiamare le new town.
Una serie di considerazioni che andavano dalla constatazione dei minori danni subiti da Buccino rispetto a Conza, alla particolarità dei monumenti buccinesi, inseriti pienamente nell’organismo urbano contemporaneo e riadoperati con grande disinvoltura come case, cantine e stalle, alla sensazione che il quotidiano del centro storico avesse da tempo assorbito l’Antico nella propria normalità, indirizzarono in modo diverso tutta l’attività di tutela e soprattutto di progettazione archeologica a Buccino.
Se è vero che la crisi è il movente di ogni cambiamento delle città storiche, il terremoto aveva determinato a Buccino non solo la necessità impellente di documentare e valutare lo stato dell’architettura in uso, compito oggi, soprattutto dopo i terremoti più recenti, affidato principalmente ad Ingegneri, ma anche di individuare, analizzare e valutare la presenza di un patrimonio di stratificazioni antiche nascosto all’interno dell’organismo urbano.
Tale attività che fu enormemente facilitata dall’esistenza di uno studio approfondito su iscrizioni e resti monumentali conservati nel centro storico, condotto da Vittorio Bracco e pubblicato nel 1978 in un volume della Forma Italiae e, successivamente, dal lavoro di tesi condotto da Alfonso Santoriello e Roberto De Gennaro per una carta archeologica di Volcei e del territorio.
Si trattava comunque di una mole di lavoro, impossibile da affrontare con le poche forze disponibili in Soprintendenza: per questo fu stipulato un accordo con la cattedra di archeologia dell’Università degli studi di Salerno retta da Angela Pontrandolfo, e fu in questa occasione che, per la prima volta a Salerno, il lavoro dei collaboratori archeologi fu remunerato con fondi previsti nelle perizie di scavo per la documentazione grafica e stratigrafica. E molti allievi dell’Università, oggi Soprintendenti, funzionari o professori universitari, ebbero il loro primo contatto con l’archeologia da campo nello scavo-scuola che l’Università organizzò per vari anni a Buccino.
Nelle prime fasi dell’intervento, nella constatazione del pericolo imminente in cui versava il centro storico, fu realizzata un’estesa campagna di vincoli diretti imposti su tutte le aree non edificate del centro storico, le piazze, le strade e tutti gli edifici in cui, attraverso i sopralluoghi e i controlli dei lavori di ricostruzione, si erano potuti individuare resti antichi, senza dire dei moltissimi provvedimenti di sospensione dei lavori, soprattutto di demolizioni, condotti senza previo controllo di archeologi.
Anche per questo in questa fase fu altissimo il grado di scontro con la popolazione che si vedeva privata, sia pure temporaneamente, di un bene primario, quale la casa, sebbene si trattasse degli stessi cittadini che nel gennaio del 1981 avevano contrastato con barricate nel centro storico un’ordinanza del Commissiario Zamberletti che disponeva la demolizione di molti isolati, salvando la statificazione antica dalla distruzione.
Le difficoltà che determinavano il rallentamento degli interventi si concentravano fondamentalmente in due filoni: da un lato le problematiche tecniche di coordinamento delle attività di indagine con quelle di ricostruzione degli isolati di abitazione, dall’altro l’impossibilità di raccordare le attività di tutela con le previsioni del Piano di recupero del centro storico.
Il punto di partenza per la soluzione delle problematiche tecniche fu la messa a punto di un protocollo, condiviso con i tecnici che si occupavano della ricostruzione, che fissava una sequenza degli interventi di tutela, dal controllo delle stonacature e dei saggi per le sottofonazioni, ai saggi archeologici; era, in effetti, una specie di cronoprogramma, da mettere in atto su tutti i cantieri di ricostruzione. Tale protocollo assolveva da un lato alla necessità di predisporre un sistema che fosse uguale per tutti e non creasse situazioni di disparità di trattamento, dall’altro garantiva una maggiore velocità delle decisioni, ma soprattutto prevedeva che i dati archeologici raccolti e la documentazione di scavo venisse immediatamente fornita ai progettisti privati per la redazione di varianti degli interventi finalizzate alla tutela e conservazione delle strutture antiche.
Tuttavia non era abbastanza. In molti comparti edilizi si raggiunse un punto di rottura in cui noi non sapevamo più come andare avanti, soprattutto per la mancanza dei fondi necessari per gli scavi senza i quali l’attività di ricostruzione non poteva essere autorizzata. Si arrivò ad una situazione di muro contro muro che bloccò gran parte dei lavori. Fu quello fu il momento più buio, tant’è che fu allora che dovetti trovare il modo di sfuggire a trenta condomini di un isolato che brandivano i picchetti dello scavo come spade.
Ma proprio allora accaddero tre cose che diedero inizio alla svolta nei lavori e nel mio modo di concepire il ruolo sociale della tutela archeologica. La prima fu che, insieme al Comune di Buccino, riuscimmo a convincere la Direzione Generale del Ministero dei Lavori Pubblici, che si occupava della ricostruzione, dell’importanza di ciò che stava avvenendo a Buccino e di riconoscere un’ integrazione del contributo per i maggiori oneri della ricostruzione degli isolati vincolati. Quasi contemporaneamente la Soprintendenza ottenere un finanziamento, consistente per l’epoca, circa 200 milioni di lire, dalla Soprintendenza di Collegamento per le zone terremotate – il Soprintendente Proietti venne apposta in visita a Buccino che finalmente, ci permise di programmare l’indagine archeologica e a non continuare a rincorrere gli eventi.
Il mio personale cambiamento lo devo, invece, ad una donna di grande cultura e sensibilità che era allora Sindaco di Buccino. Filomena Rosa Gerbasio un giorno concluse un incontro in cui mettemmo a confronto, diciamo appassionatamente, le esigenze della tutela e della ricostruzione dicendo “io amo la storia e sono felice che il vostro lavoro ci restituisca le nostre antiche radici, ma questo non può essere fatto sulla pelle dei miei concittadini. Se volete farlo così andate a farlo da un’altra perte, qui vogliamo un paese di vivi non di morti”.
Eravamo partiti dalla scelta di determinare una crescita e non una sostituzione dei valori storici urbani e mi resi conto che forse avevamo perso di vista il nostro stesso fine.
Allora prese forma, non senza difficoltà, il progetto Volcei. Se oggi è di moda parlare di archeologia pubblica e partecipata, all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso proporre un’archeologia che camminasse di pari passo con la ricostruzione, e con essa partecipasse alla rinascita e, anzi, che guidasse, in qualche modo, il cambiamento della città non era né di moda né comprensibile per una comunità ferita dal terremoto e per cittadini stanchi di decisioni, che li toccavano pesantemente, ma che venivano prese al disopra della loro testa.
La Soprintendenza si assunse in quel momento la responsabilità di una reinterpretazione dello spazio e delle funzioni del centro storico, che rispondeva alla necessistà di tutelare il patrimonio facilitandone l’inclusione nel quotidiano degli abitanti che ne divenivano i primi fruitori insieme ai vistatori. Il risultato non era peraltro scontato, tanto che, ancora oggi, non può dirsi raggiunto.
In tale processo diveniva altresì componente strategica la costruzione di un dialogo e di una partecipazione attiva dei cittadini all’elaborazione del passato, come cardine della loro identità e come molla del cambiamento.
Iniziammo un colloquio con la cittadinanza anche attraverso una serie di mostre, la prima ebbe il titolo significativo “Da Buccino a Volcei: archeologia e ricostruzione”. Cercammo con esse , illustrando i risultati del nostro lavoro di tutela, di rinvigorire il legame con “le pietre antiche” che gli abitanti del centro storico avevano ben dimostrato, seppur inconsciamente, di avere, e di comunicare la contemporaneità della ricerca archeologica e le prospettive di crescita culturale e sociale che essa poteva offrire alla comunità.
Nella nuova ottica di costruzione di un progetto di archeologia urbana e valorizzzaione integrata dell’Antico nell’organismo urbano in uso, la Soprintendenza destinò una parte dei nuovi finanziamenti ad una serie di attività di indagini finalizzate non solo alla creazione di una carta archeologica predittiva che ci permettesse di concentrare gli interventi nelle aree maggiormente indiziate, ma soprattutto all’acquisizione dei dati necessari alla redazione del progetto di intervento esteso a tutto il centro storico. Furono realizzate campagne di georadar e carotaggi al fine di calcolare estensioni e profondità delle aree da indagare, analisi fisico-chimiche delle componenti dell’edilizia antica per selezionare i migliori materiali per gli interventi di restauro, e indagini sismiche sulle strutture antiche già a vista per valutarne la resistenza.
Per la redazione della carta archeologica computerizzata della città antica realizzammo anche il primo rilievo fotogrammetrico del centro storico, e potemmo così predisporre una maglia di punti topografici d’appoggio, estesa fino all’area archeologica di Santo Stefano, che ci permise di relazionare topograficamente le diverse emergenze distribuite nell’area urbana. Questo fu il primo atto del passaggio da un’attività di tutela ad un programma di archeologia urbana e di valorizzazione da costruire attraverso l’individuazione delle linee storiche sottese alla forma della città e alle dinamiche di formazione del paesaggio urbano, cosi come noi lo percepivamo.
Sempre in quegli anni fatidici per Buccino anche la sottocommissione Cultura, della Commissione Parlamentare di Inchiesta sull’attuazione degli interventi della ricostruzione finanziati con la legge 219 del 1981, presieduta dall’allora Onorevole Oscar Luigi Scalfaro, visitò Buccino tra i tanti siti che furono oggetto di intervento dopo il terremoto.
Senza falsa modestia e per tutti noi archeologi mi fa piacere ricordare oggi la lode al lavoro delle Soprintendenze archeologiche contenuta nella relazione generale , che recita così:
“È giusto che nella presente Relazione si faccia menzione delle Soprintendenze archeologiche che si sono impegnate con intelligenza scientifica e abnegazione umana in un’opera preziosa di recupero e scavo, in presenza di fondi lesinati, insufficienti, discontinui, ma spesi in modo ineccepibile”
Il Comune, per sua parte, realizzò una variante del Piano di recupero, che non solo ridusse a pochissime fattispecie la possibilità di ricorso al sistema del superamento del limite di convenienza che trasformava gran parte dei progetti di riparazione in demolizioni e ricostruzioni, sistema che si era rivelato il più dannoso per la conservazione del patrimonio archeologico, ma soprattutto perimetrò l’area del centro storico, compreso il convento degli Eremitani di Sant’Agostino, come area del futuro parco archeologico e museo archeologico di Volcei.
Sulla stessa area perimetrata dal Piano di Recupero la consorella Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di allora, grazie al lavoro svolto dall’architetto Lorenzo Santoro, che se ne assunse tutto l’onere, impose il vincolo paesaggistico. Da quel momento nulla fu più facile che fare tutela a Buccino dove il Comune e le Soprintendenze, mediante un protocollo d’intesa, costituirono una Commissione, che potremmo addirittura considerare un antenato dell’attuale Soprintendenza unica, che esprimeva, riunendosi a Buccino, pareri dal punto di vista architettonico, paesaggistico ed archeologico, sui progetti di recupero e risanamento conservativo dei diversi isolati.
Proprio durante la fase di redazione del progetto del parco la sorte volle rafforzare l’azione della Soprintendenza, con il rinvenimento della tomba oggi nota come “tomba degli ori” pertinente ad un personaggio, probabilmente una sacerdotessa del culto di Mefite, di grande rilevanza nell’ambito dell’aristocrazia locale della fine del IV- inizi del III sec. a. C. e della comunità insediata nell’area di Santo Stefano almeno dal VI sec. a.C., come sembrano testimoniare le analisi del DNA esguite sui resti di alcune sepolture.
Il ricchissimo corredo che comprendeva una parure in oro con fermatrecce, bracciale, pendenti, collane, fibule, decorazioni di cinture insieme ad oggetti in argento e bronzo legati alla sfera del banchetto e della palestra fu restaurato, nel giro di pochi mesi, presso il laboratorio del Museo di Pontecagnano e venne esposto a Buccino a novembre del 1995 in una mostra che intitolammo “Tesori dalla tutela”. Avevamo affidato alla “Signora degli ori” il compito di promozione dell’opera della Soprintendenza e lei lo svolse in maniera egregia.
In tre giorni più di tremila persone visitarono la mostra e si rafforzò nella comunità la convinzione che andasse continuata l’attività di tutela e ricerca e che non solo si dovesse istituire un parco archeologico nella città, ma anche un museo che raccogliesse i documenti del tale illustre passato.
Poco dopo il progetto del Parco, redatto dalla Soprintendenza, approvato anche dal Consiglio Comunale insieme a quello del Museo, fu candidato tra gli interventi previsti dalla delibera CIPE 18.12.1996. E quel progetto ottenne il finanziamento, grazie all’intelligenza e lungimiranza del Soprintendente Giuliana Tocco, che scelse di indirizzare su Buccino quella unica possibilità di finanziamento concessa in quel momento alla Soprintendenza.
Finalmente nel febbraio del 2000 iniziarono i lavori del Parco. Attraverso una nuova convenzione con l’Università di Salerno fu costituita una nutrita squadra di archeologi ed architetti che seguirono i lavori con competenza e dedizione. Fu indagata in estensione tutta l’area della città e documentata la stratificazione storica dei monumenti, con le diverse fasi di vita, i terremoti, le distruzioni, gli abbandoni e le ricostruzioni. Il parco fu esteso fino a comprendere le pendici nord del colle con l’area archeologica di Santo Stefano.
Fu un periodo faticoso e complesso, ovviamente non privo di momenti di tensione, con cantieri distribuiti nel Centro storico e a Santo Stefano dove operavano più di 40 operai ai quali insegnammo anche a scavare, un mestiere che alcuni di loro ancora esercitano con soddisfazione, ma per tutti noi fu come vincere una scommessa e intravvedere un futuro migliore per l’intera comunità che cercammo di coinvolgere con frequenti visite ai cantieri.
La realizzazione del Parco archeologico urbano di Volcei, immaginato come primo nucleo di un parco diffuso nel territorio, permise la successiva progettazione di un Piano Territoriale Integrato “Antica Volcei” nell’ambito della gestione dei finanziamenti europei del POR Campania 2000/2006.
Furono così finanziati interventi quali il secondo lotto del Parco archeologico e il Museo, lo scavo della villa di Auletta e di Ricigliano e molti altri inteventi nel territorio che era appartenuto in antico a Volcei, tra cui anche il primo lotto di un Parco Diffuso destinato a collegare in rete le maggiori testimonianze archeologiche per la creazione di un sistema turistico di Volcei.
Tutti i dati archiviati nelle diverse fasi di indagine archeologica confluirono in una carta archeologica datata delle fondamentali fasi di vita della città e sono stati alla base di gran parte del progetto scientifico per la realizzazione del Museo Archeologico.
Anche il Museo fu frutto della collaborazione con la comunità locale che mise a disposizione, con un comodato d’uso, il più bello tra gli edifici storici di proprietà del Comune, l’ex convento degli Eremitani di Sant’Agostino e in particolare il settore dell’edificio posto attorno al meraviglioso chiostro progettato e realizzato nel 1473 dal maestro Natale da Ragusa, come ci racconta un’iscrizione murata nel portico.
Se era stato complesso il lavoro per la realizzazione del parco archeologico quello del museo assunse per noi contorni epici, da un lato la mole di lavori di restauro dell’edificio, in cui le strutture in crollo reggevano ormai i puntelli messi dopo il terremoto e in quello che oggi è il grande salone dell’età romana crescevano alberi selvatici. Non fu semplice, d’altro canto, neanche il lavoro di selezione, restauro e studio dei materiali da esporre, alcuni dei quali mai estratti prima dalle cassette in cui erano stati conservati al monemto dello scavo.
Mi piace ricordare oggi che in quel lavoro, di cui sentivo l’enorme responsabilità scientifica, sono stata aiutata da Werner Johannowsky, uno studioso eccezionale che non ha mai ha perso, fino all’ultimo minuto della sua vita, la passione scientifica per Buccino, e da Giuliana Tocco, dalla quale avevo appreso anche come si fa veramente il mestiere di funzionario di Soprintendenza.
Eravamo in pochi, ma eravamo una squadra.
Il Museo e il Parco Archeologico di Volcei oggi sono una realtà che in tanti abbiamo voluto e realizzato, ma quale futuro li attende?
Il Progetto Volcei prevedeva la costruzione di un sistema territoriale che mettesse insieme tutte le valenze culturali materiali e immateriali e una serie di azioni di promozione e valorizzazione di tutto il territorio, ma per questa parte del processo, fondamentale in una prospettiva di crescita socio-economica delle comunità basata sul recupero dell’eredità del passato, non c’è mai stata sufficiente attenzione da parte dei decisori politici nazionali, oggi concentrati su temi di valorizzazione più appariscenti e mediaticamente redditizi.
Adele Lagi.