Il premio Nobel 2022 a ricerche fondamentali che aprono porte sul futuro della tecnologia.
Capire perché è stato conferito il Nobel della Fisica ad Alain Aspect (Paris-Saclay), John Clauser (California) e Anton Zeilinger (Vienna) per i loro esperimenti di Fisica Quantistica si può, anche se non si può capire la Fisica Quantistica. Il fisico Feynman, nell’introduzione al suo libro “divulgativo” QED[1] (Quantum Electro Dynamics) scrive che “… potreste pensare di non seguire quello che racconterò perché mentre io descriverò come funziona la Natura, voi non capirete perché la Natura funzioni così. Ma questo non lo capisce nessuno, e quindi io non ve lo so spiegare. … Alcune delle cose che vi dirò vi potrebbero sembrare incredibili, inaccettabili, impossibili da mandar giù. …I fisici hanno imparato a convivere con questo problema: hanno cioè capito che il punto essenziale non è se una teoria piaccia o non piaccia, ma se fornisca previsioni in accordo con gli esperimenti. … L’accordo con i dati sperimentali della QED è perfetto. Mi auguro quindi che riuscirete ad accettare la Natura per quello che è: assurda.”
[1] R.P.Feynman, “QED -La strana teoria della luce e della materia”, Adelphi edizioni, 1989. Il corsivo e’ del testo.
Ovviamente per Feynman e molti di noi questa assurdità è “incantevole”.
Occorre, per tentare un breve excursus sul problema che gli esperimenti premiati affrontano, incominciare con una necessaria premessa.
Chiamo genericamente particella quantistica il fotone, il neutrino, l’elettrone, il protone, il neutrone, l’atomo (elencati in ordine di massa crescente), etc. Ciascuna di queste particelle nominate hanno una peculiarità: può stare in due stati diversi. Il fotone ha la polarizzazione: le lenti da sole polarizzate riducono il riverbero perché assorbono la polarizzazione orizzontale e lasciano passare quella verticale. La luce che colpisce i nostri occhi è quindi solo la parte polarizzata verticale. Le altre particelle menzionate[2] hanno un momento magnetico (che per brevità chiameremo “spin”), come un aghetto magnetico, per cui un campo magnetico in una direzione orienta lo spin in quella direzione ed esclude l’orientamento in direzione opposta. Sono oggetti quantistici perché, fissata una direzione qualunque, ci sono solo due stati possibili: lo stato che indichiamo genericamente con +1 (“parallelo” a quella direzione) e quello con -1 (antiparallelo) (quantizzazione significa “discretezza degli stati”: in questo caso solo due). E’ però possibile una combinazione di questi due stati (ad esempio la polarizzazione circolare destra o sinistra per il fotone o una orientazione qualunque per il momento magnetico). Come la luce bianca e non polarizzata, che è il risultato della sovrapposizione di tanti colori con le due polarizzazioni. Feynman dice che l’accordo della teoria QED con l’esperimento è perfetto, perché è stato misurato il momento magnetico dell’elettrone e la teoria riproduce esattamente il risultato sperimentale una volta che si sia incluso il fatto che un elettrone nel vuoto è in realtà immerso nel “vuoto quantistico” dei fotoni (che vuoto (nel senso comune, assoluto) non è). “Esattamente” vuol dire che il suo calcolo della correzione ha portato ad un accordo su tredici cifre decimali, che equivale a misurare la distanza Terra-Luna con un margine di errore inferiore al diametro di un capello.
I dolori nascono quando si cerca di interpretare, diciamo, “in modo logico” i fatti di Natura. Finché trattiamo un sistema macroscopico, cioè fatto di tante particelle quantistiche la cosa sembra ancora accettabile, ancorché non priva di rinunce. Prendete un gas di atomi tutti uguali. Rinunciate a sapere la velocità di ogni singolo atomo che impatta sulle pareti della scatola e vi accontentate di una distribuzione di velocità che descrive la probabilità che il vostro atomo abbia un certo valore di velocità. In fondo, a questo tipo di rinunce, ci aveva già abituato la Fisica Statistica classica.
Non diverso è il caso di un esperimento che coinvolge una sola particella, ma tale che, perché si possa mettere in luce il risultato, occorre che venga ripetuto tante volte. E’ questo il caso dell’esperimento della doppia fenditura, per cui la particella passa insieme attraverso le due fenditure e impressiona la lastra fotografica. Tuttavia, perché l’impressione della lastra sia rilevabile, occorre accumulare tanti eventi in modo che formino una distribuzione, che viene interpretata come distribuzione di probabilità che una particella incida in un certo punto della lastra[3] .
Ma i progressi della tecnologia ci permettono oggi di isolare una singola particella e di rivelarne la sua risposta alle perturbazioni da noi indotte e controllate. E’ possibile produrre un singolo fotone (ad esempio emesso da un singolo atomo). Per nominare una cosa a noi vicina è diventata un esame diagnostico comune la “Single-photon emission computed tomography” (SPECT) per la quale un radionuclide che emetterà prima o poi un singolo fotone γ viene attaccato ad un appropriato ione (detto radiotracciante o ligando) e immesso nell’organismo. La sua rivelazione permette un esame tomografico. Oppure, se si sostituisce un atomo di carbonio con uno di azoto nel reticolo del diamante, si crea una vacanza in un sito accanto all’azoto e questo difetto, opportunamente stimolato può emettere un fotone. Ancora, un atomo può essere isolato confinandolo in una “bottiglia” di fotoni laser (i cosiddetti “atomi freddi”), un elettrone isolato in un Quantum Dot, confinandolo con campi elettrici in un materiale semiconduttore. Qui vorremmo avere una descrizione di quello che succede senza invocare proprietà statistiche (ovvero senza dover supporre di avere tanti Quantum Dot tutti uguali e che ciascuno abbia un elettrone al suo interno…) e senza dover rinunciare a conoscere “la realtà” di quello che succede. E può succedere qualcosa di indicibile come afferma il titolo di un libro di John S. Bell[4] il cui lavoro teorico, degli anni ‘60 del ‘900, è stato ciò che ha motivato e fondato gli esperimenti di Clauser nel decennio degli anni ‘70 e la successiva verifica che e’ diventata sempre più stringente con i perfezionamenti dovuti al gruppo di Aspect negli anni ’80 a Parigi ed infine con quelli a partire dalla fine degli anni ’90 da parte del gruppo di Zeilinger a Vienna.
Fatta questa lunga premessa, si giunge rapidamente al punto.
Einstein mise in luce ciò che egli chiamò un paradosso (paradosso di Einstein-Podolsky -Rosen (EPR)) in grado di mettere in luce l’assurdità della Meccanica Quantistica (MQ). Con un esperimento concettuale che viene appunto realizzato al giorno d’oggi grazie al lavoro dei premiati, essi discutono il caso di due particelle in uno stato quantistico che viene chiamato “entangled”: intrecciato. Prendiamo il sistema più semplice possibile: due fotoni. Immaginiamo poi che due soggetti, Alice e Bob, si allontanino a grandissima distanza l’uno dall’altra, ciascuno portando con sè uno dei due fotoni. Non c’è modo di dire in che stato stia ciascuno di essi. Se, ad esempio, Alice decide di usare una lente polare orientata a caso per analizzare il suo fotone ella misura +1, oppure -1. Supponiamo misuri +1: se Bob esegue a sua volta una misura orientando la sua lente polare allo stesso modo di Alice, egli constata che il suo fotone è nello stato -1. La misura di Alice sul suo fotone provoca una polarizzazione contraria istantanea del fotone di Bob. Incredibile che siano ancora in qualche modo legati a tanta distanza!
Per Einstein questo è inammissibile e conclude che la MQ è incompleta. La parola “incompleta” nasce dal fatto che si faceva strada una interpretazione patrocinata da Bohm che poteva riprodurre un certo numero di risultati, più complessa da maneggiare, ma più “logica” in questo contesto. Si suppone la presenza di una variabile nascosta che già prepara il risultato fin dall’inizio. E l’ignoranza di quale sia e quale valore prenda questa variabile giustifica l’affermazione di incompletezza della MQ. Per capire cosa si intende, riporto il seguente apologo. Supponete di afferrare in fretta i guanti prima di uscire e poi constatare, ormai fuori di casa, che nella fretta ne avete preso solo uno ed è quello destro. Istantaneamente sapete che quello rimasto in casa è il sinistro. Non potrebbe succedere altrettanto per i fotoni? Nella coppia di guanti la variabile nascosta viene chiamata “chiralità”, che ha due possibilità: la destra e la sinistra. La nostra ignoranza, nasce dal fatto che, fino al momento della verifica diretta su uno dei due guanti, non conosciamo quanto vale questa variabile, cioè, in pratica, se abbiamo preso il guanto destro od il sinistro.
Ebbene Bell ha escogitato un modo per provare che in questo esperimento non può esservi una variabile nascosta, cioé qualcosa di intrinseco alla coppia dei fotoni che determini fino da principio i risultati, qualunque sia la misura che viene fatta (ovvero l’orientazione scelta per la lente polare da parte di Alice). Effettivamente l’entanglement rappresenta una correlazione tra i due fotoni non locale che sopravvive finché non è turbata dall’esterno. Per Einstein che in relatività ha argomentato che l’interazione tra due masse lontane non è a distanza, ma è determinata dalla deformazione dello spazio-tempo che produce ciascuna di esse, la conclusione dell’esperimento che mette in luce una irriducibile non località della correlazione quantistica, era chiaramente indigeribile.
A differenza di quanto esposto sopra, l’esperimento, eseguito appunto su due fotoni entangled, richiede che misure totalmente indipendenti avvengano contemporaneamente su ciascuno dei due, possibilmente allo stesso istante di tempo, ovvero orientando le lenti di Alice e Bob a caso, e senza alcuna correlazione tra le due orientazioni. Non si vuole che in nessun modo i due fotoni ed i due apparati si “parlino” quando sono distanti. La correlazione (ovvero il “parlarsi”) avverrebbe se la distanza tra Alice e Bob “d” potesse essere colmata da un segnale che si propaga nel ritardo temporale fra le due misurazioni “τ”, cosa che può avvenire se “d/ τ” è una velocità minore di quella della luce. Ma occorre anche che le orientazioni delle due lenti vengano scelte a caso in modo totalmente indipendente. La misura più recente del gruppo di Zeilinger è congegnata in modo che la scelta dell’orientazione avvenga sulla base del colore di un fotone che giunge da un Quasar lontanissimo. I due fotoni dei due Quasar usati per Alice e Bob rimandano ad emissioni in tempi così lontani tra loro (frazioni del tempo di vita dell’Universo stimato) da escludere che possano essersi influenzati reciprocamente creando quella correlazione nascosta che invaliderebbe il risultato (vedi Figura[1]).
A detta di Schrödinger, l’entanglement quantistico è la caratteristica principe incompatibile con la fisica classica e con il suo principio di realtà. Ho parlato di fotoni, ma l’entanglement è realizzabile anche con coppie di elettroni o atomi e non è solo una conquista “di principio”. Al giorno d’oggi si può operare sull’entanglement di centinaia di “particelle quantistiche” e questo fornisce nuove tecniche per simulare sistemi fisici reali, nuovi algoritmi per ridurre i tempi di calcolo di un computer quantistico rispetto a quello classico o per costruire sistemi di sicurezza nella trasmissione di informazioni (criptografia). Ma questi sono temi da affrontare separatamente.
[1] R.P.Feynman, “QED -La strana teoria della luce e della materia”, Adelphi edizioni, 1989. Il corsivo e’ del testo.
[2] Nel caso degli atomi lo spin può avere più di due stati e comunque la questione è più complessa.
[3] L’esperimento può essere fatto in modo più sofisticato di come descritto qui e recentemente, sempre a Vienna, proprio sfruttando lo spin del neutrone, è stato possibile misurare un evento singolo (Hartmut Lemmel, Niels Geerits, Armin Danner, Holger F. Hofmann, Stephan Sponar. Quantifying the presence of a neutron in the paths of an interferometer. Physical Review Research, 2022; 4 (2) DOI: 10.1103/PhysRevResearch.4.023075)
[4] John S.Bell “Dicibile e indicibile in Meccanica Quantistica”, Adelphi Edizioni, 2010
[5] Dominik Rauch, et al. “Cosmic Bell Test Using Random Measurement Settings from High-Redshift Quasars”,
PHYSICAL REVIEW LETTERS 121, 080403 (2018)