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La morte di Wilma Montesi: un caso criminologico-mediatico che scosse la Repubblica italiana, tra depistaggi, falsificazioni e insabbiamenti

La storia della Repubblica italiana è stata attraversata da tanti accadimenti tragici, spesso avvolti dal mistero, che hanno scosso nel profondo le nostre Istituzioni democratiche.

Uno dei casi di cronaca nera più eclatanti, in tal senso, è rappresentato dall’enigmatica morte della ventunenne romana Wilma Montesi.

Il “caso Montesi” costituisce uno dei cold case (delitti non risolti), più celebri e controversi della storia repubblicana. Questo fatto di cronaca nera ha avuto luogo, in Italia, giovedì 9 aprile 1953: il corpo senza vita di Wilma Montesi  fu rinvenuto dal giovane manovale Fortunato Bettini, nella giornata di sabato 11 aprile 1953, giorno della vigilia di Pasqua, sulla spiaggia di Torvaianica, nei pressi di Roma.

La ragazza fu ritrovata senza le scarpe, senza la gonna e priva delle calze e dei reggicalze di raso nero. I giornali dell’epoca titolarono: “La sconosciuta”; solo una minuziosa descrizione nero su bianco, su un quotidiano romano, permise di risalire all’identità della vittima. Si trattava della giovane Wilma Montesi, che era un’aspirante attrice, in procinto di convolare a nozze con Angelo Giuliani, un agente di polizia, in servizio a Potenza. Fu il padre della ragazza a riconoscere la figlia scomparsa due giorni prima, nella giornata del 9 aprile, leggendo i quotidiani. Finalmente veniva dato un nome al corpo senza vita della “Sconosciuta di Torvaianica”.

A distanza di 70 anni, quella tragica morte è tutt’ora avvolta nel mistero e priva di colpevoli.

L’autopsia sul corpo della ragazza sentenziò che si trattava di “sincope da pediluvio”: la perizia del medico legale effettuata sul corpo della ventunenne laziale stabilì che non vi erano state tracce di violenza sessuale, in quanto Wilma Montesi risultava vergine.

Tuttavia, i rilievi medico-legali eseguiti sul corpo della ragazza mostravano delle contraddizioni e degli aspetti poco convincenti, che dettero luogo a sospetti da parte dell’opinione pubblica.

Sul corpo di Wilma Montesi erano presenti escoriazioni all’altezza del volto e lividi sulle gambe: secondo l’anatomopatologo Di Giorgio, i segni presenti sul volto della ragazza erano dovuti allo sfregamento del cadavere sulla sabbia, provocato dalle correnti marine, mentre il corpo giaceva nell’acqua, e la morte della Montesi era sopraggiunta per annegamento.

I verbali accertarono che Wilma indossava la giacca, il maglione, il reggiseno, la sottoveste e gli slip. Mancavano, però, la gonna, le scarpe, le calze e il reggicalze, che è un indumento chiuso da 5 ganci e difficilmente poteva slacciarsi durante la permanenza in acqua. Dopo aver effettuato i rilievi di rito, la Polizia comunicò che l’ipotesi più probabile era quella del suicidio della giovane donna.

Il pomeriggio del 13 aprile del 1953 si presentò in una caserma dei Carabinieri, una donna, affermando di aver letto la notizia della morte di Wilma sui giornali e sostenendo di essere sicura di aver visto la Montesi, alle ore 17:30, salire sul treno per Ostia, alla stazione di Roma Piramide.

In ragione di ciò, alla sorella Wanda balenò alla mente che quel giorno, il 9 aprile 1953, Wilma le aveva riferito che avrebbe avuto la necessità di immergere i piedi nell’acqua del mare, dato che era affetta da dermatite. L’altra ipotesi al vaglio degli inquirenti, oltre a quella del suicidio, consisteva nel fatto che Wilma Montesi si fosse sentita male in riva al mare, allorquando aveva immerso i piedi in acqua e che poi la corrente l’avesse trascinata dal litorale di Ostia alla spiaggia di Torvaianica, che distava all’incirca 15 km. Le forze dell’Ordine erano tese ad accreditare, in modo preferenziale, questa seconda ipotesi.

Il 16 ottobre del 1953, sul settimanale Attualità, fu pubblicata una notizia riguardante la morte di Wilma Montesi: il direttore Silvano Muto scrisse che la morte della Montesi era stata archiviata frettolosamente come incidente, ma, in realtà, tale decesso era avvenuto durante un festino a base di sesso e droga svoltosi nella villa del marchese Ugo Montagna, ubicata a Capocotta, sul litorale che collega Castel Porziano e Torvaianica. A quel sordido festino, avvenuto nella villa di Capocotta – come ad altri festini precedenti –, sarebbero intervenuti politici, alte gerarchie militari, rampolli dell’alta nobiltà romana. Secondo la versione fornita dall’articolo del quotidiano Attualità, Wilma Montesi si sarebbe sentita male in seguito all’eccessivo consumo di stupefacenti e sarebbe stata abbandonata, ancora viva, sulla vicina spiaggia di Torvaianica, per evitare lo scandalo.

Al festino a base di sesso e droga sarebbe stato presente anche il musicista Piero Piccioni, figlio di uno dei maggiori esponenti politici della Democrazia Cristiana, Attilio Piccioni, allora Vicepresidente del Consiglio, nonché Ministro degli Esteri.

Una donna, di nome Maria Augusta Moneta Caglio, aveva consegnato un memoriale ad un religioso dell’ordine dei gesuiti, che lo recapitò all’allora Ministro dell’Interno Amintore Fanfani, in cui si affermava che Wilma Montesi era stata uccisa da Ugo Montagna e Piero Piccioni. Il Ministro degli Esteri Attilio Piccioni, travolto dallo scandalo del figlio Piero, si dimise dalla Farnesina, il 19 settembre 1954. Nella giornata del 21 settembre 1954 vi fu l’arresto preventivo di Piero Piccioni.

Il 27 maggio 1957 la Corte d’Assise di Venezia assolse con formula piena Piccioni, Montagna, Polito e altri nove imputati: ne fece le spese Maria Augusta Moneta Caglio, soprannominata il “cigno nero”, che venne condannata a due anni e mezzo di reclusione, per calunnia nei confronti di Montagna e Piccioni.

Si trattò del primo grande processo mediatico che coinvolse politici, giornalisti, nobili romani e interessò in modo significativo il Governo e il Parlamento.

A distanza di 70 anni, il “caso Montesi” resta un giallo irrisolto. Inoltre, tale fatto di cronaca nera ha avuto significative ripercussioni nella cultura di massa: registi del calibro di Federico Fellini e Dino Risi, e cantanti dello spessore di Fabrizio De André e Rino Gaetano si sono riferiti al “caso Montesi”, in alcuni film e brani musicali da loro creati.

Nonostante i diversi decenni intercorsi da quel tragico evento socio-scandalistico-politico, gli echi del “caso Montesi” sembrano ancora assai vicini, per le particolari connotazioni che ha assunto, negli assetti di potere di inizio anni ’50 del XX secolo e per i vari depistaggi che sono stati effettuati su tale avvenimento storico, come su altri fatti di cronaca che nei decenni successivi si sono susseguiti nell’Italia repubblicana.

 

Simona Di Lucia

 

 

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Una risposta

  1. Antonio D'Amico ha detto:

    Carissima Simona, l’assenza di gonna, calze e scarpe mi fa pensare che sia stata uccisa in un altro posto e poi gettata successivamente a mare. Ottimo riassunto della vicenda da parte tua.

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