Il simbolismo visionario di Ildegarda di Bingen
Dragut è anche approfondimento. A Giugno di quest’anno l’ Associazione Cilento Domani Arte e Cultura Mediterranea APS ha tenuto, presso il Castello Angioino Aragonese di Agropoli, un convegno sulla “Simbologia Medievale”.
L’ iniziativa è stata il punto di sintesi di un discorso più ampio, iniziato ad ottobre 2020 presso la Biblioteca Archivio della Fotografia Mediterranea a Torchiara, sede anche dell’associazione, con una serie di incontri di studiosi che si sono confrontati sul tema della simbologia. Il convegno, però, voleva essere anche un punto di partenza per un percorso condiviso da intraprendere insieme su un tema che ha mille sfaccettature.
Ecco perché abbiamo pensato di proporvi sulle pagine di Dragut, con cadenza settimanale, gli interventi dei relatori intervenuti, con la speranza che, anche in rete, possano nascere spunti di riflessioni e percorsi da condividere sul variegato mondo della simbologia. Il laboratorio di lavoro sulla simbologia è in continua evoluzione e, per il 2022, si concentrerà sulla simbologia degli animali. Alcuni ricercatori già nel team stanno sviluppando loro interventi.
Oggi vi proponiamo l’ interessante intervento di Silvana Vecchio, professoressa di Storia della filosofia Medioevale presso l’ università di Ferrara, su una figura complessa come Ildegarda di Bingen.
Perché affrontare il problema del simbolismo medievale a partire dalla figura di Ildegarda di Bingen?
Ildegarda è infatti una badessa vissuta in Germania nel XII secolo e autrice di opere molto complesse dal punto di vista teologico e sicuramente molto lontane dalla nostra realtà nel tempo, nello spazio, nella mentalità che le ispira. Ma è anche un personaggio di grande successo a diversi livelli, che ha avuto ed ha tuttora una popolarità straordinaria che va al di là delle dottrine e dei testi, un personaggio che incuriosisce e che può essere in qualche modo emblematico del simbolismo medievale.
Per comprendere la complessità del suo approccio al tema del simbolismo è necessario contestualizzare la figura di Ildegarda nella cultura del suo tempo, dal momento che nella cultura medievale tutto è simbolo, ma niente funziona fuori dal contesto: un oggetto, un essere, acquistano una determinata valenza simbolica solo all’interno di un insieme di relazioni, le relazioni con altri oggetti e la relazione con la funzione che essi svolgono.
Ildegarda dunque nasce nel 1198 presso Magonza: la sua infanzia è segnata fin dall’inizio da eventi miracolosi e visioni, che si accompagnano spesso ad uno stato di malessere o di vera e propria malattia e si susseguono negli anni, anche dopo il suo ingresso in monastero, all’età di 8 anni. La fama che comincia a circolare su di lei e sulle sue visioni impone ben presto l’esigenza di un riconoscimento ufficiale; per questo Ildegarda si rivolge a due personaggi importantissimi: Bernardo di Chiaravalle, esponente insigne dell’ordine cistercense e autorità indiscussa in ambito monastico, e tramite Bernardo arriva al papa Eugenio III, che legge i suoi scritti, li approva e le ordina di scrivere tutte le visioni che nel seguito avrebbe avuto. E’ all’interno di queste visioni che prende forma un uso costante dei simboli: il simbolismo è la chiave che permette di interpretare le visioni, che sono l’annuncio di un’altra realtà, la manifestazione di un discorso ispirato da Dio e che si mostra agli occhi della mente.
Ma come avvengono queste visioni? Ce lo dice Ildegarda stessa in una lettera a un monaco, Gilberto di Gembloux:
“In verità le visioni che ho visto non le ho percepite nei sogni, né mentre dormivo, né in delirio, e nemmeno con gli occhi corporei o con le orecchie umane esteriori, e non in luoghi nascosti, ma le ho ricevute da sveglia e con la mente sgombra e cauta, attraverso gli occhi e le orecchie dell’uomo interiore, in luoghi aperti, secondo la volontà di Dio.” Come questo possa accadere è difficile che un essere umano carnale riesca a capirlo.
Le visioni sono dunque qualcosa di diverso dai sogni: si verificano ad occhi aperti e non interrompono la visione fisica, come mostra l’immagine di Ildegarda contenuta in un prezioso manoscritto di Lucca (Biblioteca Statale 1942), che rappresenta Ildegarda in atto di ricevere dall’alto i contenuti della visione che poi riferisce al suo segretario, il monaco Wolmar, che li trascrive.
La visione coinvolge non solo la vista ma anche l’udito: le voci che accompagnano le visioni forniscono sia la descrizione delle immagini, sia la spiegazione dei significati simbolici. Si tratta di figure antropomorfiche complesse, al limite del mostruoso, di costruzioni architettoniche (palazzi, torri, castelli), di immagini cosmologiche che descrivono la creazione del mondo. Tutte queste immagini sono piene di simboli: il simbolismo riguarda i numeri, i colori, gli elementi della natura (animali, piante): tutti gli elementi della tradizionale simbologia, vengono riletti in maniera originale e inseriti in un vasto disegno teologico che comprende una visione globale dell’universo.
Una delle immagini più note è quella che rappresenta figura umana: l’uomo “vitruviano”, che sarà poi ripreso da Leonardo da Vinci, che illustra le proporzioni del corpo umano ricorrendo al simbolismo dei numeri; la figura umana è a sua volta contornata dai corpi celesti (nuvole, stelle) e da quattro animali: il leopardo, il lupo, il leone, l’orso, che simboleggiano i venti.
Il simbolismo dell’immagine è spiegato dall’immagine stessa ‘parlante’: “questo significa che nella struttura del mondo l’uomo è come nel centro, poiché è più potente di tutte le creature che risiedono in esso, e pur essendo modesto di statura è grande per la virtù dell’anima….”. I diversi elementi e tutte le creature circondano l’uomo e lo difendono.
Si tratta dunque del tema molto diffuso dell’uomo microcosmo che riproduce la struttura del macrocosmo. Ma la figura umana è iscritta in una serie di cerchi concentrici di diverso colore (fuoco rosso, fuoco nero, etere ) e questi cerchi costituiscono di fatto un’altra figura antropomorfa (si possono vedere la testa, le mani e i piedi) all’interno della quale è collocata la figura umana. Per comprenderne il senso dobbiamo tornare alla immagine della visione precedente che rappresenta il mistero di Dio come suprema energia, la Trinità prima della creazione: “Questa immagine diceva: io sono la suprema infuocata energia che ho acceso tutte le scintille viventi”.
Dunque: la figura umana si iscrive all’interno di un’immagine cosmica (i tre cerchi) che a sua volta si iscrive nell’immagine della divinità intesa come energia creatrice, a significare la dipendenza di tutto il creato dallo spirito: tutto il cosmo è contenuto nello spirito come in una sorta di utero e l’uomo è al centro di questo universo; riletta in questi termini, la creazione appare come una specie di gestazione, che evidenzia l’elemento femminile nell’immagine della divinità.
Come si vede da questo esempio, per Ildegarda i simboli non sono qualcosa di statico, ma sono animati da un dinamismo che mette in relazione le immagini una con l’altra trasformandole continuamente. Vediamone un esempio ulteriore in una immagine che costituisce l’ultima trasformazione della figura precedente e che vuole rappresentare la divinità e il suo rapporto con il creato:
Si tratta in questo caso di un’immagine complessa, nella quale si possono distinguere 4 elementi.
In basso a destra si vede l’immagine di Ildegarda che trascrive (o forse disegna) il contenuto della visione. In alto è rappresentata la città degli uomini, incorniciata in una sorta di fumo nero e rosso che rappresenta il male che minaccia gli uomini. La figurina femminile a sinistra, ornata da diversi gioielli e abbigliata con una tunica verde rappresenta la sapienza di Dio: in questo caso la simbologia del colore verde allude ad un concetto fondamentale del pensiero di Ildegarda, quello di viriditas, la forza vitale: la sapienza dona la vita e mantiene in vita tutte le creature, destinate a servire l’uomo che di esse si nutre. Ma l’elemento centrale della visione è costituito dall’immagine enigmatica che sta al centro e che rappresenta la potenza di Dio, utilizzando una simbologia complessa nella quale ogni singolo elemento allude ad una specifica proprietà: la testa di una luminosità abbagliante indica che nessuno può vedere Dio; al centro del corpo si vede una testa umana, che segnala il progetto divino di creare l’uomo a immagine e somiglianza di Dio, ma al tempo stesso allude al mistero dell’incarnazione divina nel grembo della vergine; i piedi di leone indicano la forza dei precetti divini; le sei ali le opere dei sei giorni, mentre i cinque specchi che si vedono sulle ali simboleggiano i cinque personaggi che nella storia hanno illuminato la vita dell’uomo: Abele, Noè, Abramo, Mosé, Cristo. Infine il corpo coperto di penne /squame sintetizza in una sorta di immagine mostruosa la ‘diversità’ del figlio di Dio, sottolineando l’incolmabile dissomiglianza di Dio rispetto all’uomo e la necessità di descriverne la natura attraverso la negazione. Il simbolismo diventa qui lo strumento per tentare di rappresentare l’irrappresentabile, il simbolismo negativo di cui parlava Dionigi.
Per concludere questo breve excursus nella simbologia ildegardiana, possiamo dire che il simbolismo è una forma di rivelazione, la cui chiave interpretativa non dipende dall’uomo, ma è data direttamente da Dio: l’insegnamento divino si trasmette anche attraverso visioni simboliche affidate a persone particolari ( dotate del dono della profezia), ma la spiegazione di questi simboli viene essa stessa da Dio. Ildegarda si professa ripetutamente ignorante, una povera donnicciola, e dichiara che tutto quello che lei dice le viene esclusivamente dalle visioni, alle quali non aggiunge niente di suo.
La lezione che possiamo ricavare dal pensiero di Ildegada è che l’interpretazione di ogni singola immagine è possibile solo all’interno di una precisa ‘grammatica’ che va studiata per poterne decodificare i singoli elementi. Il simbolismo è come una lingua, e ogni lingua è diversa dalle altre: il valore dei simboli si comprende solo studiandone lo specifico contesto, cioè la fonetica, la grammatica, la sintassi di quella specifica lingua.
Silvana Vecchio
Il racconto visionario attraverso le immagini , come la prof.ssa Vecchio lo presenta , diventa uno spunto provocatorio ad ulteriori e intriganti approfondimenti, si può resistere a questa indagine delle ipotesi esplicative? È necessario entrare nel labirinto dei percorsi.