Chi è Hera Argiva?
Il Santuario di Hera alla foce del Sele era conosciuto agli storici antichi. Sia Strabone che Plinio il Vecchio, infatti, nelle loro opere ne parlano, se pur non in maniera molto chiara, ma facendo comunque riferimento ad un santuario nei pressi di questo territorio.
È, dunque, un luogo di culto molto famoso presso gli antichi, la cui fondazione viene riportata al leggendario capo della spedizione degli Argonauti. Erano 50, partirono alla volta della Colchide, e durante il viaggio di ritorno decisero di fermarsi lungo la costa tirrenica dell’Italia. Qui fondarono il santuario dedicato ad Hera, moglie di Zeus, protettrice dei viaggiatori. Ed infatti la Dea sarà venerata con l’appellativo di Argonia, che ricorda tanto la sua origine argiva. Questo santuario per anni ha protetto le mogli, le madri, le figlie e i naviganti. Un luogo di separazione, dunque, ma anche e soprattutto del suo contrario, di scambi economici e culturali tra le due genti. Sanciti e governati da Hera. Nel 1933 Paola Zancani Montuoro, archeologa napoletana, e Umberto Zanotti Bianco, studioso piemontese, si avventurano nella palude del Sele e l’anno successivo annunciarono l’avvenuta scoperta; le ricerche, tra difficoltà, continuano ancora oggi. Il santuario fu fondato agli inizi del VI secolo a.C. dai greci provenienti da Sibari e dedicato alla dea Hera Argiva, protettrice della navigazione e della fertilità; a differenza di altre aree sacre in Grecia e in Sud Italia è il fiume, con i suoi canali, a delineare l’area.
Nella fase iniziale, il santuario consiste in un semplice altare di ceneri, in cui i primi coloni eseguivano i sacrifici dedicati alla dea. Dopo pochi anni, sono costruiti a Nord e a Sud dell’altare due edifici porticati di forma rettangolare allungata, probabilmente per accogliere i pellegrini. A metà del VI secolo, fu costruito un primo tempio arcaico, a cui sono associabili le decorazioni scultoree più antiche. Il tempio presentava una decorazione e un fregio con triglifi e metope scolpite. Dopo l’arrivo dei Lucani, alla fine del V secolo a.C., si ebbe il momento di massima fioritura, con la costruzione di nuovi edifici. A Nord-Est del tempio, accanto al portico arcaico, fu costruita una nuova stoà, per l’accoglienza dei pellegrini, a pianta rettangolare allungata. Ad Est venne invece costruito un edificio rettangolare, con una grande sala centrale ed un piccolo vano a Sud. Costruito dai Lucani con tutti materiali di reimpiego, venne distrutto dai Romani all’indomani della fondazione della colonia latina di Paestum nel 273 a C. Datato tra il 570 ed il 560 fu considerato un donario alla Hera del Sele da parte della potente e ricca città di Siris sulla costa ionica.
Il santuario sopravvisse fino al II secolo d.C., in una progressiva decadenza, finché, anche a seguito all’impaludamento della zona, si perse gradualmente ogni forma di memoria della sua ubicazione. Dagli scavi sono circa settanta metope con raffigurazioni scolpite in arenaria locale, conservate nel Museo Archeologico di Paestum, paragonabili a quelle ritrovate a Selinunte: entrambi i santuari, a loro modo, costituivano la frontiera del mondo greco nei confronti dei barbari, gli etruschi nel Cilento, i Cartaginesi in Sicilia. Circa quaranta appartengono a un ciclo più antico e dovevano decorare edifici oggi non più riconoscibili.
Le metope rappresentano episodi del mito delle dodici fatiche di Eracle e del ciclo Troiano, ma anche di Giasone e di Oreste; a volte, le scene rappresentate non hanno riferimenti in altre fonti. Le interpretazioni degli studiosi sono molto differenti fra loro. Di fatto, le sculture rappresentavano l’eterna lotta tra ragione e passione, ordine e caos.
Martina Pico